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Che cosa significa dislessia? Quanti sono i bambini dislessici in Italia e nel mondo? Quali sono le


Corrono il rischio di essere etichettati come pigri, svogliati e disattenti. Perché fanno fatica a imparare a leggere e non riescono a farlo speditamente, col rischio di non capire quello che leggono. Ma non è questione di scarso impegno o mancanza di concentrazione. I bambini dislessici hanno un disturbo specifico dell’apprendimento che rende più difficile imparare a leggere e scrivere, tanto da poter condizionare negativamente il rendimento scolastico, e far sentire a disagio i piccoli scolari che non riescono a padroneggiare le lettere che affollano la pagina di un libro, di un quaderno o la lavagna. I bambini con dislessia sono intelligenti, non hanno problemi neurologici e sensoriali (vista, udito), ma il loro cervello funziona un po’ diversamente, per cui hanno una ridotta capacità di percepire, distinguere e manipolare i suoni che compongono le parole e una grossa difficoltà nell’associare il suono alla lettera corrispondente. Che cosa è la dislessia? “La dislessia evolutiva, detta anche disturbo specifico della lettura, è un disturbo dello sviluppo neurobiologico che compromette la capacità di imparare a svolgere in modo fluido e senza fatica tutte quelle operazioni mentali necessarie per leggere: riconoscere le singole lettere, le sillabe o le parole, e associarle con i suoni corrispondenti” Come si può manifestare la dislessia? La dislessia si manifesta innanzitutto con evidenti difficoltà di lettura. Nel complesso, infatti, le prestazioni nella lettura dei bambini dislessici risultano al di sotto del livello che ci si aspetterebbe in base all’età, alla classe frequentata e al livello intellettivo generale. La lettura è accompagnata da numerosi errori, quali, per esempio, omissioni di parole o parti di parola, inversioni di lettere o numeri (21-12), confusione tra lettere, per esempio quelle che hanno tratti visivi simili o speculari (e/a, b/d), e sostituzioni di parti o intere parole. Oppure la lettura può essere sufficientemente corretta, ma molto lenta, perché la decodifica grafema-fonema non è automatizzata. Inoltre, spesso i bambini dislessici incontrano difficoltà nel comprendere ciò che leggono e, di conseguenza, devono rileggere più volte un testo per capirne il contenuto, con l’effetto di affaticarsi di più. E non di rado la dislessia è accompagnata da altre difficoltà, per esempio verbali, come recuperare termini appropriati o memorizzare parole nuove, con i numeri, in particolare nel calcolo mentale e nella memorizzazione delle tabelline, o nella scrittura (disortografia). Spesso, poi, il bambino dislessico manifesta disagio psicologico, difficoltà comportamentali e demotivazione nei confronti della scuola: ma sono conseguenze della dislessia e non la causa. A quale età si manifesta la dislessia? La dislessia è un disturbo congenito, presente fin dalla nascita: è stata accertata infatti una significativa componente genetica, su base familiare ed ereditaria. Tuttavia, è con l'avvio dell'apprendimento scolastico dei processi di lettura e scrittura che la dislessia si manifesta più chiaramente. In altre parole, il problema risulta evidente in seconda-terza elementare, anche se alcuni segni si possono osservare già a partire dalla scuola dell’infanzia. “Il 60%, infatti, dei bambini che manifestano un ritardo nello sviluppo del linguaggio in età prescolare, perché per esempio storpiano le parole e hanno uno scarso vocabolario, manifestano poi disturbi dell’apprendimento”. Non tutti i bambini che inizialmente mostrano difficoltà nell'acquisire le basi della lettura sono dislessici. Molti recuperano spontaneamente le difficoltà iniziali e raggiungono in tempi abbastanza brevi livelli assolutamente normali di competenza. Quali possono essere i campanelli di allarme della dislessia? E' importante osservare e monitorare con particolare attenzione i bambini che dopo diversi mesi di scuola faticano ancora a riconoscere le lettere e attribuire loro i suoni corretti, o stentano a riconoscere i suoni iniziali e finali delle parole, a individuare somiglianze e differenze. È necessario aiutare il bambino a superare le difficoltà, anche con interventi di supporto a livello didattico. 1) ABILITA' FONOLOGICHE: predittori delle future difficoltà di lettura sono le cosiddette abilità fonologiche, cioè la capacità o meno di discriminare suoni simili e di segmentare i suoni delle parole nelle sillabe costituenti spiega Andrea Facoetti, neuropsicologo dello sviluppo dell'Università di Padova. 2) DIFFICOLTA' A REPERIRE LA PAROLA: altro campanello di allarme è considerata “l’incapacità di rapida denominazione: i bambini dislessici hanno infatti difficoltà a trovare velocemente la parola giusta da usare al momento giusto”. 3) DEFICIT DELLA CAPACITA' VISIVA: anche ridotte abilità visuo-attenzionali, cioè la capacità di estrarre dal contesto visivo l’informazione rilevante rispetto a quella irrilevante, possono indicare rischio di dislessia. In uno studio pubblicato su Current Biology, il team di Facoetti ha dimostrato infatti che le difficoltà nell’acquisire le abilità di lettura, principale manifestazione della dislessia, possono essere causate da deficit nelle capacità di attenzione visiva dei bambini in età prescolare. Non bisogna pensare che ogni difficoltà che manifesta un bambino sia sinonimo di un disturbo. D’altro canto, non valutare tempestivamente la fatica che il bambino fa nell’imparare a leggere e scrivere e analizzare, di conseguenza, l’effetto di strategie di aiuto è dannoso afferma Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova. “Secondo il manuale diagnostico DSM 5, per capire se un bambino è dislessico bisogna verificare la resistenza al trattamento: cioè lo si sottopone a una serie di esercizi mirati e solo se i meccanismi di potenziamento non risultano efficaci si può diagnosticare la dislessia. Non basta, cioè, misurare il tempo di lettura e gli errori”. Quanti sono i bambini dislessici in Italia e nel mondo? La dislessia è meno frequente in quei paesi dove si parlano (e scrivono) lingue in cui la corrispondenza tra segni e suoni (le lettere e i fonemi) è molto regolare e trasparente. “Per questo in Italia, che ha una lingua con ortografia molto trasparente, si stima che i dislessici siano il 2-4% della popolazione, contro il 5-8% o più dei paesi di lingua inglese”. In particolare la prevalenza stimata sulla popolazione scolastica è del 3,5%, e si avvicina al 5% nella scuola primaria, sottolinea Giacomo Stella, professore ordinario di Psicologia clinica all'Università di Modena e Reggio Emilia e fondatore dell'Associazione Italiana Dislessia. Questo significa che in una classe di 20 alunni è abbastanza probabile che almeno un bambino sia dislessico. Quali sono le strategie per aiutare i bambini dislessici? La dislessia non deve essere percepita dalla famiglia, né tanto meno dal bambino, come una disgrazia o qualcosa di cui vergognarsi, ma come uno dei tanti modi di essere, con i suoi aspetti positivi e negativi e con le sue inevitabili e innegabili fatiche. Oggi, dunque, le famiglie hanno a disposizione possibilità e strumenti diversi per aiutare i bambini: “Trattamenti logopedici, interventi di stimolazione che possono essere effettuati presso centri e studi professionali o anche a domicilio, supervisionati da operatori specializzati, fino ad arrivare a software sempre più sofisticati che alleggeriscono il carico e la fatica dei ragazzi nelle attività di lettura e scrittura”. L'importante è non scoraggiarsi, non drammatizzare la situazione, e attivarsi senza perdere tempo per definire bisogni e risorse e trovare le risposte più adatte alle esigenze personali dei bambini. È molto importante, infatti, che l’intervento sia precoce, perché quanto più è tempestivo, tanto più si può cercare sia di ridurre le difficoltà, sia di stimolare strategie cognitive per aggirare l'ostacolo, prevenendone anche le conseguenze sul piano psicologico. A scuola è importante dunque adattare la didattica alle sue difficoltà di apprendimento, con l'adozione di strategie compensative o dispensative: per esempio privilegiando la lettura silenziosa, l’uso di un lettore o di libri "parlanti", e del computer per la scrittura. Cosa prevede la legge 170/2010 sui disturbi specifici di apprendimento? La legge 170 detta i principi generali che devono guidare l’intervento, nell’ambito scolastico e sanitario, per garantire una gestione appropriata della dislessia e di altri disturbi specifici di apprendimento, al fine di favorire la migliore realizzazione delle potenzialità delle persone che ne sono affette. “Diagnosticata la dislessia, in sostanza la legge prevede che la scuola sviluppi un Piano didattico personalizzato in modo da garantire all’allievo dislessico il diritto di apprendere come gli altri, grazie a misure compensative o dispensative, come per esempio la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove o il ricorso a verifiche orali anziché scritte”. Che cosa non fare se un bambino è dislessico? Non bisogna minarne l'autostima. Dunque insegnanti e genitori devono astenersi dal fare paragoni con altri bambini o dal ridicolizzare o sgridare il bambino per gli errori che fa. E' importante invece incoraggiare sempre il bambino, perché fa più fatica, ma alla fine impara come gli altri e la dislessia non gli impedirà di raggiungere soddisfazioni scolastiche e lavorative.


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