La terminologia "malattia mentale" attiene a un insieme eterogeneo di patologie che associano una coorte di segni e sintomi che compromettono significativamente sia il modo di pensare, sia la sfera emotiva, sia pure le relazioni sociali.
È difficile delineare le caratteristiche di un tipico "malato mentale" poiché sono presenti per lo più numerosi problemi che si combinano in vario modo, tanto che un caso può essere molto diverso dall'altro, data l'estrema variabilità delle manifestazioni emotive, cognitive e comportamentali dei disturbi psicologici. Caratteristiche ricorrenti nelle malattie mentali: convinzioni o idee in cui il paziente crede fermamente, variazioni patologiche dell'umore. La valutazione e la significatività di tali manifestazioni patologiche va riferita non solo in relazione alle altre persone della stessa condizione ed età, ma al funzionamento della stessa persona prima dell'emergere del disagio. In passato la diagnosi, la terminologia e la definizione dei disturbi mentali era compiuta quasi esclusivamente della psichiatria da cui la dizione di "disturbo psichiatrico" o anche "malattia psichiatrica". Dal febbraio 1989 l'art 1 della legge 59 consente anche agli iscritti all'albo degli psicologi di fare diagnosi al pari degli psichiatri. In tale caso gli psicologi, riferendosi alle medesime classificazioni diagnostiche, preferiscono parlare genericamente di "psicopatologie". I riferimenti diagnostici a livello internazionale sono il sistema del DSM 5 elaborato dall'Associazione Psichiatri Americani e l'ICD dell'OMS, pertanto le nosografie diagnostiche per avere credibilità scientifica e partecipare ad uno scambio condiviso tra colleghi vanno stilate secondo uno dei due criteri diagnostici scelti dal professionista. Ciò favorisce anche la sorte degli stessi pazienti diagnosticati con "etichette" riconosciute dalla comunità scientifica internazionale al fine di verifiche terapeutiche basate su diagnosi accreditate. Solitamente i comportamenti inadeguati tipiche delle psicopatologie vengono riconosciuti in primo luogo dai familiari e dalle persone che vivono vicino al paziente. Ciò rende difficile l'iter diagnostico e i conseguenti interventi terapeutici. Infatti condizione essenziale per poter iniziare un programma terapeutico, sia esso individuale, familiare o multifamiliare, è il riconoscere di avere un problema, quindi bisognoso di cure e disponibile ad impegnarsi in un rapporto terapeutico. Il paziente, ed in certi casi anche i suoi familiari, ha comunque il diritto a sapere di quale psicopatologia soffre anche se le conclusioni diagnostiche cui il clinico è arrivato, vanno comunicate evitando di esprimere solamente 'una etichetta', ma curando di fornire anche informazioni sulla natura, le cause ed il decorso del disturbo, sfatando comuni pregiudizi e correggendo eventuali conoscenze errate sulla malattia mentale. Solitamente la cura è sempre decisa solo dopo gli accertamenti diagnostici ed è sempre subordinata al loro esito. La diagnosi è difficile da accettare. Psicologi e psichiatri sanno bene che certi pazienti (di norma inviati in osservazione clinica sempre dai loro familiari, preoccupati per evidenti cambiamenti dell'umore o del carattere), pur riconoscendo anche di avere dei disturbi, non accettano la diagnosi proposta, soprattutto se questa riguarda patologie importanti oppure se viene espressa, con nomi convenzionali propri della classificazione psichiatrica internazionale, che possono suonare come poco gradevoli al senso comune. L'esperienza clinica inoltre insegna che la persona che non accetta di avere una determinata malattia evita la cura specifica, interpreta momenti di apparente benessere come guarigione, rimanda, peggiora col tempo e non risolve il suo problema, in quanto non è convinta di essere malata, quindi da curare. In tanti casi, infine, una delle caratteristiche più evidenti di un importante disturbo diagnosticato come può esserlo quello attinente ad una "malattia mentale" è proprio la non accettazione del referto da parte del paziente, condizione nota ai clinici con il nome di "anosognosia".