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Studio Kairos

Cos'è la mindfulness?


Negli ultimi anni si è diffusa molto quella che, utilizzando la parola inglese, viene chiamata mindfulness. La parola “mindfulness” significa “consapevolezza”, “piena attenzione”. Si tratta di uno stato di coscienza in cui siamo testimoni vigili e presenti dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e percezioni, momento per momento. Si tratta di uno stato non facile da descrivere a parole perché si riferisce prima di tutto ad un’esperienza diretta. Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio, “Mindfulness significa prestare attenzione, ma in un modo particolare: con intenzione, al momento presente, in modo non giudicante”. Un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora. L’approccio della mindfulness deriva dalla meditazione di consapevolezza e la dottrina e la pratica meditativa buddista costituiscono la tradizione che più di tutte incarna ed esplicita questo tema. La mindfulness è uno stato mentale, una modalità dell’essere, non orientata ad uno scopo; è infatti focalizzata al permettere di stare nel presente così com’è e di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente. La presenza mentale, conoscenza di ciò che accade, è quella facoltà che nella tradizione buddista occorre coltivare come strada per giungere alla riduzione delle sofferenze umane, che sono considerate connesse ad una percezione erronea di un io individuale permanente. Superare questa illusione permetterebbe il raggiungimento di un equilibrio emozionale e di un benessere psicologico duraturi. Per raggiungere tale fine, la tradizione buddista non raccomanda un cambiamento della realtà esterna, quanto piuttosto un mutamento dell’individuo stesso a livello cognitivo ed emotivo. La mindfulness apre alla ricchezza del momento presente, alla pienezza dell’esperienza e a degli insight che portano ad una più profonda e intuitiva conoscenza della realtà e del modo di funzionare della mente stessa. Ma la pienezza dell’esperienza comprende necessariamente anche il suo lato “negativo”: il disagio, la sofferenza, il dolore. E qui si gioca uno degli aspetti più interessanti di questo approccio che chiede e insegna a non respingere e a non negare questa dimensione ma ad accettarla, accoglierla e farne motivo di crescita e persino di creatività. La mindfulness non è una tecnica di rilassamento (anche se il rilassamento ne è una diretta conseguenza). Non è un modo per entrare in qualche forma di trance, né per svuotare la mente e raggiungere il “vuoto”. Se il lato negativo della vita non possiamo evitarlo, allora la prospettiva della consapevolezza (mindfulness) ci offre una possibilità a prima vista strana e controintuitiva: entrare in relazione più diretta con il disagio e la sofferenza, imparare a rivolgere piena attenzione, a fare spazio anche a quello che non ci piace, che non vorremmo o che ci fa soffrire. In questo modo troviamo una possibilità di fare spazio, di lasciar essere e quindi di essere meno condizionati, meno oppressi anche dalle condizioni che ci portano disagio. E, paradossalmente, facendo questo ci mettiamo nelle migliori condizioni possibili per trovare, le vie e i modi più efficaci per gestire o risolvere le cause di sofferenza. La pratica della mindfulness faciliterebbe quindi il passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno di maggiore percezione soggettiva di benessere, grazie ad una conoscenza e comprensione profonda degli stati e dei processi mentali e attraverso un lavoro attivo con essi. Negli ultimi decenni la mindfulness è stata integrata in modelli e programmi terapeutici consolidati nel mondo occidentale. Il protocollo Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) è stato il primo mindfulness training nato dal lavoro di Jon Kabat-Zinn a partire dagli anni Settanta. Ideato per pazienti affetti da dolore cronico o malattie terminali è stato in seguito applicato con successo ad altre condizioni cliniche fisiche e psicologiche, come nel trattamento cognitivo – comportamentale del disturbo bordeline di personalità, nel trattamento dei disturbi di tipo dissociativo, nei protocolli più recenti per il trattamento dei disturbi di ansia. Mindfulness e cognitivismo hanno in comune l’interesse per il ruolo che i pensieri giocano su emozioni e comportamenti e così il successo del Mindfulness Based Stress Reduction ha fatto sì che anche nell’ambito della psicoterapia cognitiva si diffondesse un certo interesse per le pratiche di consapevolezza come strumento clinico. Tra gli interventi derivati dal Mindfulness Based Stress Reduction, la Mindfulness Based Cognitive Therapy (Segal, Teasdale e Williams, 2002) è il protocollo più diffuso e testato scientificamente, ideato per pazienti con esperienza di depressione maggiore. Tale protocollo si pone come obiettivo quello di lavorare su pensieri, emozioni e sensazioni che si riattivano in modo automatico durante periodi di umore negativo in persone che hanno avuto episodi depressivi, aiutandole a realizzare una trasformazione radicale nella loro relazione con i pensieri, con le emozioni e con le sensazioni fisiche che possono contribuire alle ricadute depressive. Lo scopo della mindfulness è insegnare ai pazienti una nuova relazione con le proprie esperienze mentali e corporee, che permetta loro di fare un passo indietro rispetto alle risposte automatiche e quindi li protegga da quei circoli viziosi che comportano il rischio di ricadute. Secondo Siegel, il benessere si trova tra due sponde: la rigidità da una parte e il caos dall’altra ed è sostenuto dalla capacità di attivare un processo di integrazione dell’ignoto con il noto. Per promuovere il benessere è necessario interrompere il condizionamento, il pilota automatico, la coazione a ripetere che limita la fruizione di quel nutrimento indispensabile per lo sviluppo che sono le esperienze. E individua nella meditazione mindfulness quella modalità di essere totalmente nel momento presente e di fare esperienze dal “basso verso l’alto”. Interrompere gli automatismi di risposta, far si che una persona sia in grado di evitare di mettere in atto reazioni comportamentali inadeguate o rappresentazioni della realtà non equilibrate è certamente un passaggio clinico cruciale per i processi psicoterapeutici.


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